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La soluzione umanitaria

Pubblicato il 06 giugno 2023 da Ludovica Proietti

Prima pagina La Repubblica

Il 29 marzo 1978 le Brigate Rosse fanno ritrovare, in pieno centro a Roma, un plico con 7 manoscritti di Moro per sua moglie Eleonora, per il suo segretario Rana, e, il più lungo con oltre 5 fogli (di cui qui una parte), per il Ministro dell’Interno Francesco Cossiga, con l’intenzione, o almeno la speranza, di aprire una trattativa per il suo rilascio. Nella lettera Moro indica infatti una serie di casi di rapimento che a seguito di una trattativa si sono conclusi con il liberazione dell’ostaggio, citando prima il caso del politico Peter Lorenz, sequestrato dai terroristi tedeschi del Movimento 2 giugno, e poi gli scambi di prigionieri tra Breznev e Pinochet.

Caro Francesco, mentre t’indirizzo un caro saluto, sono indotto dalle difficili circostanze a svolgere dinanzi a te, avendo presenti le tue responsabilità (che io ovviamente rispetto) alcune lucide e realistiche considerazioni. Prescindo volutamente da ogni aspetto emotivo e mi attengo ai fatti. Benché non sappia nulla né del modo né di quanto accaduto dopo il mio prelevamento, è fuori discussione che sono considerato un prigioniero politico, sottoposto, come Presidente della DC, ad un processo diretto ad accertare le mie trentennali responsabilità. In tali circostanze ti scrivo in modo molto riservato, perché tu e gli amici con alla testa il Presidente del Consiglio (informato ovviamente il Presidente della Repubblica) possiate riflettere opportunamente sul da farsi, per evitare guai peggiori. […] In verità siamo tutti noi del gruppo dirigente che siamo chiamati in causa ed è il nostro operato collettivo che è sotto accusa e di cui devo rispondere. Nelle circostanze sopra descritte entra in gioco, al di là di ogni considerazione umanitaria che pure non si può ignorare, la ragione di Stato. […] La dottrina per la quale il rapimento non deve recare vantaggi, discutibile già nei casi comuni, dove il danno del rapito è estremamente probabile, non regge in circostanze politiche, dove si provocano danni sicuri e incalcolabili non solo alla persona, ma allo Stato. Il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di legalità, mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurre a salvarli, è inammissibile. Tutti gli Stati del mondo si sono regolati in modo positivo, salvo Israele e la Germania, ma non per il caso Lorenz. […] Ritornando un momento indietro sul comportamento degli Stati, ricorderò gli scambi tra Breznev e Pinochet, i molteplici scambi di spie, l’espulsione dei dissenzienti dal territorio sovietico. […] Un atteggiamento di ostilità sarebbe un’astrattezza ed un errore. Che Iddio vi illumini per il meglio, evitando che siate impantanati in un doloroso episodio, dal quale potrebbero dipendere molte cose.
I più affettuosi saluti

Nella lettera il Presidente DC precisa che ogni trattativa sarebbe dovuta restare assolutamente segreta ("in tali circostanze ti scrivo in modo molto riservato”) cosicché lo Stato avrebbe potuto contrattare con maggiore scioltezza. L’auspicata riservatezza, però, venne presto meno per decisione del comitato centrale delle BR che, insieme al comunicato numero 3 (di cui qui un estratto), fa recapitare e rende pubbliche anche le lettere di Moro, lasciando il plico in un cestino a piazza del Gesù, difronte la sede della direzione nazionale della DC:

Ha chiesto di scrivere una lettera segreta (le manovre occulte sono la normalità per la mafia democristiana) al governo ed in particolare al capo degli sbirri Cossiga. Gli è stato concesso, ma siccome niente deve essere nascosto al popolo ed e' questo il nostro costume la rendiamo pubblica.

Immediatamente dopo la prima lettera a Cossiga si aprì un dibattito animato sulla veridicità o meno delle lettere dell’Onorevole. Il confronto si soffermava su quanto i manoscritti potessero rispecchiare il reale pensiero politico di Moro o se fossero stati manipolati dai terroristi. A prevalere fu la seconda valutazione, tanto che da quel momento in poi verranno considerate lettere “di un condannato a morte che pare scrivere sotto dettatura”, nonostante gli stesso, nella prima lettera indirizzata a Zaccagnini specificherà

Tengo a precisare di dire queste cose in piena lucidità e senza aver subito nessuna coercizione nella persona

e ancora, in un’altra lettera indirizzata alla Democrazia Cristiana chiarirà :

E' vero: io sono prigioniero e non sono in uno stato d'animo lieto. Ma non ho subito nessuna coercizione, non sono drogato, scrivo con il mio stile per brutto che sia, ho la mia solita calligrafia. Ma sono si dice "un altro" e non merito di essere preso sul serio. Allora ai miei argomenti neppure si risponde.

La decisione è presa

Il 15 aprile, a quasi un mese dal sequestro di Moro, arriva il comunicato numero 6: il tempo è finito e la decisione è presa.

L’interrogatorio al prigioniero Aldo Moro è terminato. Rivedere trenta anni di regime democristiano […] non ha fatto altro che confermare delle verità e delle certezze che non da oggi sono nella coscienza di tutti i proletari. […] I proletari, gli operai, tutti gli sfruttati conoscono bene che cosa significa il regime democristiano, perché l'hanno vissuto e lo vivono sulla loro pelle. […] Non ci sono quindi "clamorose rivelazioni" da fare, ma nostro compito e quello di tutti i rivoluzionari è di organizzare il proletariato, di costruire la forza che eseguirà in modo definitivo la condanna della borghesia e dei suoi servi. […] La stampa di regime è sempre al servizio del nemico di classe; la menzogna, la mistificazione sono per essa la regola, ed in questi giorni ne ha dato una prova superlativa. […] Le informazioni in nostro possesso quindi, verranno diffuse attraverso la stampa e i mezzi di divulgazione clandestini delle Organizzazioni Combattenti, e soprattutto verranno utilizzate per proseguire con altre battaglie il processo al regime ed allo Stato. Per quel che ci riguarda il processo ad Aldo Moro finisce qui. Processare Aldo Moro non è stato che una tappa, un momento del più vasto processo allo Stato ed al regime che è in atto nel paese e che si chiama: GUERRA DI CLASSE PER IL COMUNISMO.
Le responsabilità di Aldo Moro sono le stesse per cui questo Stato è sotto processo. La sua colpevolezza è la stessa per cui la DC ed il suo regime saranno definitivamente battuti, liquidati e dispersi dalle iniziative delle forze comuniste combattenti. Non ci sono dubbi.
ALDO MORO E' COLPEVOLE E VIENE PERTANTO CONDANNATO A MORTE. […]

Per il comunismo

Brigate Rosse

Poche ore dopo viene organizzato un nuovo vertice DC che, pur confermando la linea della fermezza, apre la possibilità per quella che venne indicata come “soluzione umanitaria”, secondo la quale sarebbe stato salvato l’ostaggio senza tenere conto del suo spessore politico. La Democrazia Cristiana è pronta a sondare il terreno di una timida e oculata trattativa, ma le richieste delle BR per un possibile scambio arrivano solamente il 20 aprile, con il comunicato numero 7, recapitato insieme ad una foto di Moro con in mano una copia del giornale “La Repubblica” con la data del giorno precedente. L’ostaggio è vivo, ma il messaggio nel comunicato ordina rapidità d’azione:

E' passato più di un mese dalla cattura di Aldo Moro, un mese nel quale Aldo Moro è stato processato così come è sotto processo tutta la DC e i suoi complici; Aldo Moro è stato condannato così come è stata condannata la classe politica che ha governato per trent'anni il nostro Paese, con le infamie, con il servilismo. […] L'appello "umanitario" lo lancia invece la DC. E qui siamo nella più grottesca spudoratezza. A quale "umanità" si possono mai appellare i vari Andreotti, Fanfani, Leone, Cossiga, Piccoli, Rumor e compari? […] Per quanto riguarda Aldo Moro ripetiamo che è un prigioniero politico condannato a morte perché responsabile in massimo grado di trent'anni di potere democristiano di gestione dello Stato e di tutto quello che ha significato per i proletari. Il problema al quale la DC deve rispondere è politico e non di umanità; umanità che non possiede e che non può costituire la facciata dietro la quale nascondersi, e che, reclamata dai suoi boss, suona come un insulto. […] Il rilascio del prigioniero Aldo Moro può essere preso in considerazione solo in relazione della LIBERAZIONE DI PRIGIONIERI COMUNISTI. La DC dia una risposta chiara e definitiva se intende percorrere questa strada; deve essere chiaro che non ce ne sono altre possibili. La DC e il suo governo hanno 48 ore di tempo per farlo a partire dalle ore 15 del 20 aprile; trascorso questo tempo ed in caso di un ennesima viltà della DC noi risponderemo solo al proletariato ed al Movimento Rivoluzionario, assumendoci la responsabilità dell'esecuzione della sentenza emessa dal Tribunale del Popolo. Per il comunismo Brigate Rosse

L’ultimatum obbliga la classe politica ad accelerare la trattativa per salvare la vita dell’Onorevole. Il 18 aprile il leader del Partito Socialista, Bettino Craxi, riceve dal suo Partito l’incarico di esplorare ogni possibilità per la liberazione dell’ostaggio:

Ciò che si può fare o agevolare ai fini della liberazione di Aldo Moro, deve essere fatto o agevolato. Per parte nostra non è accettato una sorta di immobilismo pregiudiziale ed assoluto, genericamente motivato, che porta ad escludere persino la ricerca di ogni ragionevole e legittima possibilità. Tra gli estremi al cedimento al ricatto e del rifiuto pregiudiziale possono esistere altre vie che in diverse forme diversi Stati democratici non hanno esitato ad esplorare.

Craxi propose sostanzialmente la concessione della grazia da parte dello Stato ad un terrorista detenuto nel caso in cui si fosse trovato in gravi condizioni di salute e non si fosse macchiato di reati di sangue. La via indicata dal leader socialista sembrò essere avallata anche dalla DC, che a seguito di una riunione di oltre cinque ore con il PSI, convenne che potesse essere una strada percorribile vista l’urgenza e la drammaticità della situazione. Anche Giovanni Leone, l’allora Presidente della Repubblica democristiano, si disse disposto a firmare qualsiasi documento che accertasse la concessione della grazia da parte dello Stato, ma sulla sua scrivania non arrivò mai un nome. La Democrazia cristiana non sa cosa fare. Le divisioni interne su chi sia favorevole o meno alla trattativa hanno la meglio e il Partito entra in una sorta di stallo dal quale non riesce a districarsi.

Visto l’immobilismo della politica, il pontefice, Papa Paolo VI, decide di rivolgersi direttamente ai terroristi attraverso un appello pubblicato sull’Osservatore romano il giorno stesso dell’ultimatum brigatista, previsto per il 22 aprile:

Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l’Onorevole Moro. Io non vi conosco e non ho modo di avere alcun contatto con voi. Per questo vi scrivo pubblicamente e profittando del margine di tempo che rimane alla scadenza della minaccia di morte che voi avete annunciato contro di lui. […] Ed è in questo nome supremo di Cristo, che io mi rivolgo a voi, che certamente non lo ignorate, a voi, ignoti ed implacabili avversari di questo uomo degno ed innocente; e vi prego in ginocchio, liberate l’Onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità. […]”

L’appello del Papa rimase inascoltato e l’Angelus della domenica successiva si aprì con uno scoraggiato “Di Aldo Moro nessun’altra notizia”.

Due giorni dopo, il 24 aprile, le Brigate Rosse fanno recapitare il penultimo comunicato, il numero 8, nel quale specificano le loro condizioni:

Alle nostre richieste del comunicato n. 7 la DC ha risposto con un comunicato di due frasi. Di questo comunicato si può dire tutto tranne che è “chiaro” e “definitivo”. Nella prima frase la DC afferma la sua “indefettibile fedeltà allo Stato, alle sue istituzioni, alle sue leggi”. […] Da parte nostra riaffermiamo che Aldo Moro è un prigioniero politico e che il suo rilascio è possibile solo se si concede la libertà ai prigionieri comunisti tenuti in ostaggio nelle carceri del regime. La DC e il suo Governo hanno la possibilità di ottenere il rilascio di Aldo Moro: diano la libertà ai comunisti che la barbarie dello Stato imperialista ha condannato a morte, la “morte lenta” dei campi di concentramento. […] Da più parti ci viene chiesto di precisare in concreto quali sono i prigionieri comunisti a cui la DC e il suo Governo devono dare la libertà. […] Chiediamo quindi che vengano liberati: Sante Notarnicola, Mario Rossi, Giuseppe Battaglia, Augusto Viel, Domenico Delli Veneri, Pasquale Abatangelo, Giorgio Panizzari, Maurizio Ferrari, Alberto Franceschini, Renato Curcio, Roberto Ognibene, Paola Besuschio e Cristoforo Piancone. Chi cerca di vedere per il prigioniero Aldo Moro una soluzione analoga a quella a suo tempo adottata dalla nostra Organizzazione a conclusione del processo a Mario Sossi (giudice liberato dopo 35 giorni di prigionia), ha sbagliato radicalmente i suoi conti. A questo punto le nostre posizioni sono completamente definite e solo una risposta immediata e positiva della DC e del suo Governo data senza equivoci, e concretamente attuata potrà consentire il rilascio di Aldo Moro. […] Alcune personalità del mondo borghese e alcune autorità religiose, ci hanno inviato con molto clamore appelli cosiddetti umanitari per il rilascio di Aldo Moro. Ora queste insigni personalità hanno tredici nomi di altrettanti uomini condannati a morte, e per la liberazione dei quali hanno la possibilità di appellarsi alla DC e al suo governo in nome della stessa “umanità”, “dignità cristiana” o altri “supremi ideali” ai quali dicono di riferirsi, dimostrando così la loro proclamata imparzialità ed estraneità ad ogni calcolo politico. LIBERTÀ PER TUTTI I COMUNISTI IMPRIGIONATI! Per il comunismo
Brigate rosse

Venne valutata la strada del riscatto con un pagamento di oltre 10 miliardi di lire in cambio del rilascio dell’ostaggio: anche questo, però, esattamente come i precedenti, non fu altro che un estremo quanto fallimentare tentativo. I soldi erano stati messi a disposizione dal Vaticano per volere di Papa Paolo VI, che, in realtà, sin da subito aveva proposto questa strada e ne aveva sondate altre per tentare di salvare il suo amico Moro. Nonostante questo, nell’ultima lettere che l’ostaggio scrive alla famiglia, il 5 maggio, oltre alle accuse gravissime rivolte alla Democrazia Cristiana per il comportamento intransigente che stava portando alla morte il prigioniero, si legge nelle ultime righe: “il Papa ha fatto pochino. Forse ne avrà scrupolo.”

Era chiaro a tutti, infatti, che il denaro non avrebbe in alcun modo potuto smuovere la situazione: le Brigate Rosse avevano posto una questione di natura puramente politica e l’unica possibilità che aveva lo Stato di riavere Moro indietro passava per la legittimazione delle BR come organizzazione riconosciuta dallo Stato italiano (ed in particolare dalla DC) e attraverso la liberazione dei terroristi, considerati “prigioni politici" del regime democristiano. Qualora il Partito dallo scudo crociato non fosse sceso ad un accordo, rispettando queste richieste, sarebbe accaduto "l’inevitabile. Noi non possiamo fare altrimenti.”