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L'epilogo della Rivoluzione Hippy e i tre giorni di pace, amore e musica

Pubblicato il 01 giugno 2022 da Ludovica Proietti

concerto woodstock

Nel marzo 1968 Joel Rosenman e John Roberts pubblicarono un annuncio sul Wall Street Journal e sul New York Times:

Giovani con capitale illimitato cercano interessanti, legittime opportunità di investimento e proposte d’affari.

Il messaggio venne letto da Artie Kornfeld e Michael Lang, già noti nell’ambito musicale per l’organizzazione di alcuni concerti locali poco remunerativi e ora in cerca di un finanziatore per l’apertura di uno studio di registrazione nella città di Woodstock. I quattro si incontrarono la prima volta nel febbraio del 1969 e dopo altri due incontri decisero di investire il capitale nella realizzazione del più grande Festival di musica Rock che si fosse mai organizzato, fondando appositamente per l’occasione la Woodstock Ventures, della quale ognuno deteneva il 25%. L’obiettivo, commentò Lang, era quello di:

creare un evento pacifico, un raduno a misura d’uomo […]. Dove tutti fossero trattati con rispetto e dove tutti potessero avere l’opportunità di vivere una grande esperienza insieme agli altri.

Qualche difficoltà iniziale

Iniziarono ad allestire i 300 acri del Mills Industrial Park, a New York, che avrebbe dovuto ospitare il Festival, ma la comunità locale cominciò a lamentarsi, preoccupata dall’arrivo degli hippy, considerati pericolosi per l’uso di droghe ben noto a tutti, e, a meno di un mese dall’inizio della manifestazione, le autorità locali vietarono qualsiasi tipo di raduno in quell'area. Lo scrittore e sceneggiatore Elliot Tiber decise allora di mettere a disposizione i suoi 60.000 metri quadrati di terreno, ma lo spazio risultava ancora troppo piccolo e venne contattato un agricoltore locale che affittò i suoi 2 kilometri quadrati di terreno al prezzo di 75.000 dollari. Nonostante i tentativi di tranquillizzare i residenti, stimando l’arrivo di non più di 50.000 persone, la Woodstock Ventures ricevette molte minacce e una petizione di oltre 800 firme, che però non riuscirono a fermare i lavori. Il concerto venne organizzato nella piccola cittadina di Bethel, ad oltre 43km di distanza da Woodstock, ma ormai gli organizzatori erano affezionati al nome, che venne mantenuto insieme allo slogan “tre giorni di pace e musica”. La società vendette, al costo di 18 dollari l’uno, oltre 187.000 biglietti in prevendita e sperava che altri sarebbero stati comprati in loco al costo di 24 dollari, ma le stime furono ampiamente superate, perché già due giorni prima dell’inizio, si riversarono nell’area oltre 50.000 persone. I ragazzi incaricati di controllare i biglietti d’ingresso non erano ancora arrivati e difronte a numeri così alti di avventori l’unica cosa sensata sembrò essere quella di aprire tutti i cancelli e rendere gratuito il concerto per chiunque vi prendesse parte. A Bethel arrivò anche la polizia i cui agenti vennero selezionati sulla base del loro approccio pacifico e rilassato: vennero indicati come “peace officers”, disarmati e vestiti con la maglietta ufficiale che riportava il celebre logo del concerto. L’organizzazione e la sicurezza dell’area venne affidata alla comunità hippy più longeva degli Stati Uniti, la Hog Farm, che costruì le strutture necessarie, mise a disposizione cucine da campo gratuite, gestì le tende di assistenza per i problemi di salute ed allestì un piccolo palco alternativo dove chiunque potesse esibirsi.

La prima giornata: 15 agosto 1969

Nelle intenzioni degli organizzatori la prima giornata doveva essere dedicata alla musica folk, con una sola band elettrica di funk-rock: gli Sly and The Family Stone. L’inizio era previsto per le ore 16, ma alle 17 ancora nessun artista era riuscito a raggiungere il Festival a causa del traffico che aveva mandato in tilt la rete stradale limitrofa. Erano ormai state superate le 300.000 persone ed il flusso di arrivo era inarrestabile, quindi per intrattenere il pubblico vennero organizzate diverse iniziative: lezioni di yoga ed una piccola mostra d’arte dei Nativi Americani, mentre in alcuni gazebo venivano distribuiti opuscoli e si tenevano conferenze; venne allestita anche un’area bambini ed una zona, non autorizzata ufficialmente, fu riservata allo spaccio di sostanze stupefacenti. La prima band in programma erano gli Sweetwater, ma essendo bloccati in macchina a qualche miglia da Bethel, il primo ad esibirsi fu Richie Havens, prelevato dal suo hotel con l’elicottero dell’esercito americano. A qualcuno sembrò una contraddizione che una manifestazione contro la guerra e il militarismo venisse salvata dagli elicotteri dell’esercito che iniziarono a fare la spola tra gli alberghi e il palco, ma come spiegarono più volte alcuni artisti, il movimento era contro la guerra, non contro i ragazzi, spesso coetanei, dell’esercito. Havens terminò il suo repertorio nel giro di poco tempo, ma l’artista successivo non era ancora arrivato e la regia gli impose di andare avanti a qualsiasi costo. È così che prese vita uno dei momenti più iconici di tutto il Woodstock: intonò un vecchio classico della musica nera, intitolato Motherless child, inserendo nel testo la parola Freedom e ripetendola tantissime volte per tutta l’esibizione. Dopo di lui salì sul palco Swami Satchidananda che in poche parole racchiuse tutto il significato di quei tre giorni:

il futuro del mondo è nelle vostre mani, potete avere successo o fallire, ma siete qui per fare il mondo, non per distruggerlo. […] L’intero mondo vi guarderà. Il mondo intero sta per sapere cosa può fare la gioventù americana per l’umanità.

Gli artisti continuavano a mancare e gli organizzatori mandarono sul palco prima Country Joe McDonald e poi John Sebastian, trovato per caso dietro le quinte in uno stato visibilmente alterato a causa di qualche sostanza di cui aveva fatto uso poco prima. Con l’arrivo sul palco degli Sweetwater, cominciarono a farsi sentire le prime difficoltà organizzative: file interminabili difronte ai gabinetti e ai banchetti per la vendita del cibo, che dopo appena qualche ore dall’inizio del concerto già scarseggiava e per avere un panino bisognava aspettare ore. Vennero comprate dagli organizzatori tonnellate di cibo, tra verdure e granturco, ma per farle arrivare a Bethel l’unica soluzione erano gli elicotteri della Guardia Nazionale, che atterrarono grazie ad un gruppo di duecento persone che si presero per mano creando spazio tra la folla. Il peggio arrivò poche ore dopo, quando l'acqua iniziò a scendere leggera, ma inesorabile, trasformando il terreno in un pantano. La pioggia non accennava a smettere e i presenti decisero di intonare un canto ritmico a suon di “No rain, no rain”, rivolgendosi direttamente al dio della pioggia per convincerlo di una tregua, che tardò ad arrivare. Arrivò il momento di Joan Baez, figura chiave e simbolo delle battaglie per la pace organizzate dal movimento: incinta al sesto mese, portò sul palco una toccante protesta contro l’incarcerazione del marito che si era rifiutato di partire per il Vietnam. Concluse la sua esibizione con la canzone We shall overcome e per la prima volta dall’inizio del concerto anche il dio della pioggia sembrò fermarsi per ascoltare quell’inno all’amore e alla pace, per poi scatenare un violento temporale nel momento esatto in cui terminò il suo spettacolo.

La seconda giornata: 16 agosto 1969

Il giorno seguente le persone si svegliarono in una situazione surreale: la pioggia aveva ridotto l’area in una fanghiglia in cui le condizioni igienico sanitarie minime erano del tutto assenti e l’utilizzo di droghe era fuori controllo. Uno dei problemi più seri da affrontare era quello dell’assistenza medica che riguardava principalmente tagli e ferite alla pianta dei piedi, dato che molte persone giravano scalze su un terreno dove venivano lasciate bottiglie di vetro e lattine, e ovviamente i disturbi psicologici e le paranoie a seguito del consumo eccessivo o inconsapevole di droghe, prima tra tutto l’LSD. Inoltre, l’intrattenimento era stato previsto solo per le ore serali, ma i tempi morti creavano problemi e si decise che la musica dovesse proseguire ad oltranza, seguendo la scaletta della seconda giornata che prevedeva grandi nomi del Rock e del Blues. Salì sul palco il genio musicale di Carlos Santana che aveva presentato un genere innovativo mescolando al Rock e al Blues i ritmi tipicamente latini, aggiungendo alla sezione ritmica una massiccia dose di percussioni che fecero decollare l’esibizione con un coinvolgimento da parte del pubblico senza precedenti. Santana stesso, rimasto molto soddisfatto dell’esibizione, in un’intervista commentò: *

Tutto quello che viene seminato resta e noi, in quei giorni, seminammo tantissimo amore.

Nel frattempo, la situazione all’interno del campo era diventata insostenibile per l’assenza di servizi igienici essenziali e la scarsissima reperibilità di medicinali e cibo. La Woodstock Ventures inviò il responsabile della sicurezza dalla polizia di New York perché l’area potesse essere dichiarata “disastrata” e permettere l’arrivo di rifornimenti alimentari e personale sanitario nel più breve tempo possibile.
Al Rock latino di Santana seguì l’esibizione dei Canned Heat, durante la quale un ragazzo riuscì a salire sul palco data l’assenza di distanza tra il pubblico e gli artisti. Anche questo fu un momento iconico, che rappresentò a pieno lo spirito del raduno: il frontman Bob Hite, invece di farlo scendere, fumò una sigaretta con lui, mentre il resto della band proseguiva a suonare.
Attorno alle 2 di notte arrivò il turno di Janis Joplin e della sua nuova formazione, la Kozmic Blues Band. Nonostante salì sul palco in uno stato visibilmente alterato dagli stupefacenti, il suo spettacolo fu uno dei più brillanti e memorabili. La sua interpretazione di Summertime emozionò il pubblico e da molti venne giudicato il momento migliore in assoluto dei tre giorni. A notte fonda arrivarono le ultime due band sul palco, attesissime perché già molto famose: gli Sly and The Family Stone, con il loro miscuglio di Rock, Jazz e Punk, e gli Who, che nonostante iniziarono la loro esibizione alle 5 del mattino, trovarono il pubblico pronto ad acclamarli durante tutti i 24 brani che suonarono ininterrottamente.

Il terzo giorno: 17 agosto 1969

Aprirono la terza giornata i Jefferson Airplane, particolarmente attesi perché rappresentavano lo spirito del raduno e le persone presenti, venendo anche loro da San Francisco e avendo contribuito allo sviluppo della scena musicale californiana. La cantante, inoltre, Grace Slick, venne accolta da un lunghissimo applauso, perché insieme alla sua amica e collega Janis Joplin, stava rivoluzionando il mondo del Rock, entrando a pieno titolo tra le grandi figure di questo genere musicale fino a quel momento dominato del solo genere maschile. Seguì i Jefferson la straordinaria esibizione blues di Joe Cocker, ancora molto giovane e poco famoso, che seppe però coinvolgere l’intera platea in uno dei momenti più magici di tutto il Festival con l’interpretazione del brano With a little Help from my Friend, la cui introduzione con l’organo divenne uno dei più famosi attacchi musicali della storia della musica. La sua esibizione venne bruscamente interrotta da un altro fiume di pioggia che rese nuovamente il campo impraticabile, ma anche stavolta i giovani presenti continuarono a gestire le difficoltà nel modo migliore possibile, senza tensioni né violenze. A questo punto, molte persone decisero che, viste le difficoltà di movimento, fosse il caso di anticipare la partenza e rimettersi in cammino per tornare a casa. La gente era ormai stremata da questi tre giorni vissuti al limite della sopravvivenza, ma le sorprese in serbo per il pubblico non erano finite. Sebbene il Festival teoricamente si fosse concluso con l’arrivo della notte, in scaletta mancava ancora il pezzo forte che era stato previsto per concludere in bellezza questi tre giorni: difronte ad un prato semideserto ed una platea di ormai poche decine di migliaia di persone, si presentò sul palco Jimi Hendrix, che più di qualsiasi altro artista divenne il simbolo del Woodstock. Suonò per oltre due ore, chiudendo l'esibizione con la versione più dissacrante dell’inno americano che sia mai stata eseguita: rappresentò una delle più dure forme di protesta contro la guerra in Vietnam, tanto che il suono della chitarra verso la fine del brano sembrò trasformarsi nel fragore delle bombe, nelle esplosioni e nelle grida.

Ora il concerto poteva dirsi realmente concluso. Terminava così una delle esperienze più straordinarie della storia del Rock, in cui la musica aveva dimostrato di poter essere a tutti gli effetti un segno di riconoscimento per un’intera generazione, che ora tornava a casa consapevole che quanto vissuto in quei tre giorni era solo l’epilogo di una rivoluzione radicale e partecipata, ma destinata a rimanere illusione.