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Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo

Pubblicato il 16 giugno 2023 da Ludovica Proietti

Aldo Moro

Un piccolo avvertimento prima di iniziare la lettura: il racconto di quanto accaduto si attiene fedelmente ai fatti e le conversazioni, così come i comunicati e le dichiarazioni sono riportate senza edulcorare l'asprezza delle parole. La lettura potrebbe risultare per questo più pesante rispetto agli altri articoli pubblicati su questo blog!

È il 30 aprile e Mario Moretti, capo della colonna brigatista romana, da una cabina telefonica della Stazione Termini di Roma, chiama casa Moro. Alla telefonata breve, concisa e di una freddezza disarmante, risponde la moglie Eleonora, che viene scambiata per sua figlia:

Noi facciamo questa telefonata per puro scrupolo, perché suo padre continua ad insistere nel dire che siete stati un po’ ingannati, probabilmente state ragionando su un equivoco. Finora avete fatto tutte cose che non servono assolutamente a niente. Noi crediamo che ormai i giochi siano fatti, abbiamo già preso una decisione. Nelle prossime ore non potremo far altro che eseguire ciò che abbiamo detto nel comunicato numero 8. Quindi crediamo solo questo: che sia possibile un intervento di Zaccagnini, immediato e chiarificatore in questo senso. Se ciò non avviene rendetevi conto che noi non potremo far altro che questo. Mi ha capito esattamente? […] Noi l’abbiamo fatto semplicemente per scrupolo, nel senso che sa, una condanna a morte non è una cosa che si possa prendere così alla leggera neanche da parte nostra. Noi siamo disposti a sopportare le responsabilità che competono e ci competono. […] Il problema è politico, quindi a questo punto deve intervenire la Democrazia Cristiana. Noi abbiamo insistito moltissimo su questo, perché è l’unica maniera per cui si possa arrivare eventualmente ad una trattativa. Se questo non avviene nelle prossime...

la moglie di Moro fa per intervenire, interrompendo Moretti, che però lapidariamente chiude la telefonata:

No, no, non posso discutere. Devo semplicemente fare questa comunicazione: solo un intervento diretto ed immediato e chiarificatore di Zaccagnini può modificare la situazione. Noi abbiamo già preso una decisione, nelle prossime ore accadrà l’inevitabile. Noi non possiamo fare altrimenti. Non ho nient’altro da dirle.

La chiamata minacciosa porta la Democrazia Cristiana a riunirsi per discutere sul da farsi, ma il tempo è poco e il Partito è confuso, diviso tra una minoranza che a questo punto spinge per venire incontro alle richieste dei brigatisti e una maggioranza che, pur rendendosi conto della situazione sempre più grave, resta immobile sulla propria posizione di fermezza.

In realtà, anche il vertice brigatista è diviso perché non unanimemente convinto che la scelta più saggia sia quella di uccidere Moro e dar seguito a quanto minacciato nei giorni precedenti. Nei processi che si aprirono a seguito della vicenda, anche la chiamata a casa dell’Onorevole da parte di Moretti verrà individuata come un ultimo tentativo di spingere verso un accordo affinché la trattativa portasse al rilascio del prigioniero. Sempre durante uno dei processi, Adriana Faranda, brigatista di primissima linea nella colonna romana, sostenne che durante una riunione a Milano, organizzata pochi giorni prima dell’epilogo, lei, Valerio Morucci e Franco Bonisoli si dissero fermamente contrari all’uccisione del Presidente e che, qualche giorno dopo, la stessa linea fu ribadita direttamente a Moretti durante un incontro furtivo a Piazza Barberini, in pieno centro a Roma. Il comitato centrale delle Brigate Rosse, però, aveva preso una decisione e tornare sui propri passi avrebbe fatto perdere la credibilità che l’organizzazione credeva di aver ottenuto: sarebbero dovute essere le BR, fino alla fine, a dettare le regole.

Giovedì 4 maggio 1978 le Brigate Rosse fanno ritrovare il nono ed ultimo comunicato: l’interrogatorio al prigioniero si è concluso e la condanna può essere eseguita.

ALLE ORGANIZZAZIONI COMUNISTE COMBATTENTI, AL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO, A TUTTI I PROLETARI.
Compagni, la battaglia iniziata il 16 marzo con la cattura di Aldo Moro è arrivata alla sua conclusione. Dopo l'interrogatorio ed il Processo Popolare al quale è stato sottoposto, il Presidente della Democrazia Cristiana è stato condannato a morte. A quanti tra i suoi compari della DC, del governo e dei complici che lo sostengono, chiedevano il rilascio, abbiamo fornito una possibilità: per la libertà di Aldo Moro, uno dei massimi responsabili di questi trent'anni di lurido regime democristiano, la libertà per tredici Combattenti Comunisti imprigionati nei lager dello Stato imperialista. LA LIBERTÀ’ QUINDI IN CAMBIO DELLA LIBERTÀ. […] In questi 51 giorni la DC e il suo governo non sono riusciti a mascherare, neppure con tutto l'armamentario della contro-guerriglia psicologica, quello che la cattura, il processo e la condanna del Presidente della DC Aldo Moro, è stato nella realtà: una vittoria del Movimento Rivoluzionario ed una cocente sconfitta delle forze imperialiste. […] Per quanto riguarda la nostra proposta di uno scambio di prigionieri politici perché venisse sospesa la condanna e Aldo Moro venisse rilasciato, dobbiamo soltanto registrare il chiaro rifiuto della DC, del governo e dei complici che lo sostengono e la loro dichiarata indisponibilità ad essere in questa vicenda qualche cosa di diverso da quello che fino ad ora hanno dimostrato di essere: degli ottusi,feroci assassini al servizio della borghesia imperialista. Dobbiamo soltanto aggiungere una risposta alla "apparente" disponibilità del PSI. Va detto chiaro che il gran parlare del suo segretario Craxi è solo apparenza perché non affronta il problema reale: lo scambio dei prigionieri. […] Le cosiddette "proposte umanitarie" di Craxi, qualunque esse siano, dal momento che escludono la liberazione dei tredici compagni sequestrati, si qualificano come manovre per gettare fumo negli occhi, e che rientrano nei giochi di potere, negli interessi di partito od elettorali che non ci riguardano. L'unica cosa chiara e che sullo scambio dei prigionieri la posizione del PSI è la stessa, di ottuso rifiuto, della DC e del suo governo, e questo ci basta. […]
A parole non abbiamo più niente da dire alla DC. L'unico linguaggio che i servi dell'imperialismo hanno dimostrato di saper intendere è quello delle armi ed è con questo che il proletariato sta imparando a parlare. Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato.

Per il Comunismo

Brigate Rosse

Immediatamente dopo la divulgazione del comitato nelle città di Roma, Milano, Genova e Torino, Il Ministro della Giustizia Bonifacio prende le redini della situazione e tenta la strada dello scambio “uno ad uno”, verificando la presenza di un’effettiva volontà da parte delle BR di continuare a contrattare ancora, ma la risposta è chiara: il tempo per la cosiddetta soluzione umanitaria è terminato.

9 maggio 1978

Il 9 maggio, secondo quanto ricostruito diversi anni dopo dai brigatisti stessi, Moro venne svegliato alle 6 di mattina e “per non farlo soffrire inutilmente” gli venne riferito che era stato librato e che il tribunale del popolo si era espresso per la sua grazia. Ad ucciderlo fu invece Mario Moretti, con la complicità di Germano Maccari, sebbene per moltissimi anni si credette che ad eseguire la condanna fosse stato Prospero Gallinari. L’auto, una Renault 4 rossa targata N57686, con il corpo dell’Onorevole nel portabagagli, venne poi parcheggiata da Moretti e Maccari in via Caetani, un vicolo in pieno centro storico a Roma, molto vicino alle sedi nazionali della DC e del PCI. Per l’ultimo tratto di strada i due furono accompagnati da Valerio Morucci e Bruno Seghetti che viaggiavano su un’altra auto come copertura, pronti ad intervenire nel caso in cui un posto di blocco avesse fermato la Renault 4 prima dell’arrivo in via Caetani. Dopo aver cercato a lungo un posto sicuro da cui effettuare la chiamata Morucci si incaricò di dare la notizia.

Alle 12:15 squilla il cellulare di Franco Tritto, allievo di Moro e titolare della cattedra di Diritto e procedura penale dell’Università di Roma la Sapienza:

“E' il Professor Franco Tritto?”
“Chi parla?
“Il dottor Nicolai”

Uno dei soprannomi all’interno delle Brigate Rosse di Valerio Morucci.

“Chi Nicolai?”
“E’ lei il Professor Franco Tritto?”
“Si, ma io voglio sapere chi parla”
“Brigate Rosse. […]
Presentiamo le ultime volontà del Presidente, comunicando alla famiglia dove potrà trovare il corpo dell’Onorevole Aldo Moro."

“Che cosa dovrei fare?”
“Mi sente?”
“No, se può ripetere per cortesia…”
“No, non posso ripetere. Guardi, allora, lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’Onorevole Aldo Moro in via Caetani. Lì c’è una Renault 4 rossa. I primi numeri di targa sono N5”
“Devo telefonare io alla famiglia?”
“No, dovrebbe andare personalmente”

Tritto ha appena 28 anni, per l’epoca un’età pienamente matura, ma la notizia è troppo anche per lui e in lacrime risponde:

“Non posso...”
“Non può? Non può? Dovrebbe per forza” “Per cortesia no…” “Mi dispiace... ma se lei telefona verrebbe meno all’adempimento delle richieste che aveva fatto espressamente il Presidente.”

Un “mi dispiace” dai toni sconsolati, quasi a volersi giustificare con un “ambasciator non porta pena”. Tritto è sconvolto e cerca di mediare:

“Parli con mio padre”

Il brigatista accetta, ma i toni non cambiano:

“Guardi lei dovrebbe andare dalla famiglia dell’Onorevole Aldo Moro, o mandare suo figlio, o comunque telefonare, basta che lo facciate. Il messaggio ce l’ha già suo figlio.”

La telefonata si stava facendo lunga e le Brigate Rosse avevano messo in conto che tutti i telefoni delle persone più vicine a Moro venissero controllati e le chiamate registrate. Per questo, se prima la richiesta di Moro doveva essere presa alla lettera (no, dovrebbe andare personalmente/dovrebbe per forza), ora va bene anche una telefonata, purché la famiglia venga avvisata e questo colloquio telefonico interrotto.

“Non posso andare io?”
“Certamente, purché lo faccia con urgenza, perché l’ultima volontà dell’Onorevole è questa: cioè di comunicare alla famiglia perché la famiglia deve riavere il corpo. Va bene? Arrivederci.”

La telefonata venne intercettata e furono le forze dell’ordine, poco prima delle 14, ad arrivare in via Caetani e ritrovare il corpo esanime di Aldo Moro. La notizia si diffuse velocemente ed una folla si accalcò all’imbocco della via tenuta a debita distanza dalla polizia: una folla sconvolta ed arrabbiata che al passaggio delle macchine degli esponenti politici accorsi sul posto inveì sostenendo che si potesse fare molto di più per salvare il Presidente.

Il giorno dopo

Con un’amara dichiarazione la famiglia di Moro rifiutò qualsiasi tipo di celebrazione ufficiale e, ritenendo che lo Stato avrebbe potuto gestire con più efficacia la trattativa e fare di più per salvare la vita di Moro, la celebrazione del funerale si svolse in forma strettamente privata nella Chiesa di San Tommaso a Torrita Tiberina, vicino Roma:

La famiglia desidera che sia pienamente rispettata dalle autorità dello Stato e di partito la precisa volontà di Aldo Moro. Ciò vuol dire: nessuna manifestazione pubblica o cerimonia o discorso; nessun lutto nazionale, né funerali di Stato o medaglie alla memoria. La famiglia si chiude nel silenzio e chiede silenzio. Sulla vita e sulla morte di Aldo Moro giudicherà la storia.

L’11 maggio Francesco Cossiga presentò le dimissioni dalla carica di Ministro dell’Interno e il 15 giugno Giovanni Leone fece lo stesso per la carica di Presidente della Repubblica. (In questo caso, a concorrere a tale scelta furono anche le accuse, poi rivelatesi infondate, che riguardarono lo scandalo Lockheed.)

Il 13 maggio, senza feretro al centro della navata, si tenne una cerimonia funebre nella basilica di San Giovanni in Laterano, a Roma, celebrata dal cardinale Ugo Poletti e alla presenza delle cariche politiche tutte e di Papa Paolo VI, a cui eccezionalmente venne affidato il momento dell’omelia:

Fa che noi tutti raccogliamo nel sudario della sua nobile memoria l’eredità superstite della sua retta coscienza, […] della sua dedizione alla redenzione civile e spirituale della diletta Nazione.

L’ultima lettera

Vi riporto qui l’ultima lettera scritta da Moro a sua moglie Eleonora, quando aveva capito che ormai quella sarebbe stata l’ultima possibilità di parlarle:

Mia dolcissima Noretta,
dopo un momento di esilissimo ottimismo, dovuto forse ad un mio equivoco circa quel che mi si veniva dicendo, siamo ormai, credo, al momento conclusivo. Non mi pare il caso di discutere della cosa in sé e dell’incredibilità di una sanzione che cade sulla mia mitezza e la mia moderazione. Certo ho sbagliato, a fin di bene, nel definire l’indirizzo della mia vita, ma ormai non si può cambiare. Resta solo di riconoscere che tu avevi ragione. Si può solo dire che forse saremmo stati in altro modo puniti, noi e i nostri piccoli. Vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della DC con il suo assurdo ed incredibile comportamento. Essa va detto con fermezza così come si deve rifiutare eventuale medaglia che si suole dare in questo caso. E’ poi vero che moltissimi amici (ma non ne so i nomi) o ingannati dall’idea che il parlare mi danneggiasse o preoccupati delle loro personali posizioni, non si sono mossi come avrebbero dovuto. Cento sole firme raccolte avrebbero costretto a trattare, ma questo è tutto per il passato. Per il futuro c’è in questo momento una tenerezza infinita per voi, il ricordo di tutti e di ciascuno, un amore grande, grande carico di ricordi apparentemente insignificanti e in realtà preziosi. Uniti nel mio ricordo vivete insieme. Mi parrà di essere tra voi. Per carità, vivete in una unica casa, anche Emma se è possibile e fate ricorso ai buoni e cari amici, che ringrazierai tanto, per le vostre esigenze. Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Ricordami a tutti i parenti ed amici con immenso affetto ed a te e tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore eterno. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Amore mio, sentimi sempre con te e tienimi stretto. Bacia e carezza Fida, Demi, Luca, Anna, Mario, Agnese, Giovanni. Sono tanto grato per quello che hanno fatto. Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta. Il Papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo.
Noretta dolcissima, sono nelle mani di Dio e tue. Prega per me, ricordami soavemente. Carezza i piccoli dolcissimi, tutti. Che Iddio vi aiuti tutti. Un bacio di amore a tutti.

Aldo